delicatamente... lucia

  1. al vicolo del serpe
    ogni poesia mia nasce da intuizioni... stati d'animo che si versano in parole

    AvatarBy lucia il 3 Nov. 2013
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    Al Vicolo del Serpe

    Un dì lasciasti il Vicolo del Serpe,
    o Nonna: ti saluto e ti rivedo
    bella, pettinata, lo zinale bianco.

    Delicata salivi per i tratturi,
    su per Sezze e passando
    salutavi col sorriso guappo
    comari, cane, gatto, la Maga Circe.

    Scarpe montanare, calze parigine,
    sguardo di malizia sotto quelle rughe
    fatte di guerra, di figli, di fatica.

    Ora sei assente, fatta d’aria e polvere,
    lieve vaghi tra gli alberi pizzuti,
    dietro ogni stele a me ti nascondi.

    Al Vicolo del Serpe sempre ti chiamo.
    Ti chiamo invano , qui al cimitero:
    cerco l’odore, una traccia, una risata,
    le tue mani che lavoravano sempre.

    Lo specchio ti tradisce e ti ritrovo,
    e mi sorrido. Ti sorrido, o Nonna.
    Per sempre. So di non averti perduta.

    Sorrido dell’assurdità del presente,
    dell’immane cattiveria degli umani,
    dell’ignavia naturale, senza tempo,
    dell’arroganza cieca dei potenti.

    Al Vicolo del Serpe, nonna, io e te,
    poi, resteremo insieme sempre.
    Lo zinale spiccava bianco, pulito.

    Al Vicolo del Serpe mi lasciasti, ti
    vedo nuovamente bella, spettinata,
    mentre il vento disperde la Tua Ombra.

    Lucia Fusco.

    Aprile 2009/2011
    Last Post by lucia il 3 Nov. 2013
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  2. FUGGENDO DAL FREDDO

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    E ho perso la strada.
    L’ho persa… cercando un golfino,
    una sciarpa, uno scialle di lana...
    Percorso, cammino, più non c’era.
    Intorno il caso, l’energia, il caos.
    Tacchi rotti, scarpe sfondate.
    E freddo.
    E tornando sui miei passi,
    a capo chino, in cerca di tracce,
    l’ho persa di nuovo,
    innumerevoli volte, vuoi per scarsa luce,
    ad un bivio più infingardo.
    E ho trovato cani blu, chiese buie,
    isole e donne sole.
    E freddo.
    E non ho trovato che sentieri foschi.
    Ora sto qui solitaria, che tremo,
    con un contratto d’affitto, a vita,
    per un’esistenza senza riscaldamento,
    che non riconosco più mia.
    La vivo in prestito, mi lascio esistere,
    indolentemente, qualunquemente,
    in uno scomparto frigorifero,
    E Tu. Tu! in tutto questo: se dall’Alto
    puoi intuire questo freddo, spaventoso,
    ma per Te, comico, labirinto,
    aiutami! Mandami un cappotto,
    magari un semaforo funzionante,
    o, [SPOILER][/SPOILER]almeno, qualche indicazione.
    Per il Sud.
    Last Post by lucia il 13 July 2014
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  3. PERCORSI DELLA MEMORIA
    Storia di Soledad

    AvatarBy lucia il 8 June 2014
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    STORIA DI SOLEDAD
    I due giovani stavano abbracciati. Lui le cingeva la vita, le parlava piano, vicino all’orecchio delicato. Lei gli stringeva le mani, piangeva …Erano quasi bambini.
    I piedi di Soledad erano nudi, abbronzati e graffiati dalla vita, le gambe snelle di gioventù. Lui le passava la mano delicatamente sulle ginocchia, accarezzandole con un moto circolare.
    Il profumo del mirto, del rosmarino,del lentisco sarebbe rimasto nel ricordo, tutta la loro vita e non li avrebbe più lasciati, ma in quel momento ancora non lo sapevano. Un’upupa incoronata di bruno e nero cantò verso il cielo e li avvisò che era ora di tornare a casa.
    Soledad, i lunghi capelli neri e lisci, lo sguardo viola e mansueto, non voleva lasciare Pietro: <<stemo adecco n’atra cica… matrema ha ita a lauorà e n’è ancora raddutta a casa…>>
    Pietro, stringendola con forza, con un senso di dolce possesso le rispose: <<iamo, Soledad, s’ha fatto scuro, è ora de radduce. Uengo addumani cetto e stamo ‘nzeme. Matrema e patremo mo’ se prioccupano… Soledad, aricordachi ca i e ti ci tinimo spusa’. I, pi ti, faria di tutto… i ti amo da quanno erauamo du mammocci! Tu sarai felice cu mi…>>
    La ragazzina si sciolse dall’abbraccio e gli disse, in modo repentino, procurando a Pietro un dolore che non si sciolse più tutta la vita, come un nodo malfatto reso duro dall’umidità e dal tempo: <<no, Pietrù. Matrema gni’ te’ i bocchi pe fa i matrimonio cu la famiglia tea! I nun mi uoglio fa ‘nghiastima’ da madreta, da patto e sorete!!! Addomani cetto vango a farme monaca, ti uoglio beno, ti uorrò sempre beno, ma i pozzo spusareme schitto a Cristo!>>. <<ma ce l’hu su dittu a madreta ca i te vuoglio beno e te uoglio spusà? A me non m’importa gnente delle lenzola e delle robbe… I e te o nessun’atra!>>
    Soledad corse via. Non aveva lenzuola, ne’ federe, ne’ asciugamani, ne’ ricami; niente dote! Sapeva che non poteva sposare Pietro, la famiglia di lui non l’avrebbe mai accettata. Era troppo ricco per lei, orfana di padre. La madre, Antonia, possedeva solo qualche soldo; vedova da dieci anni aveva lavorato duro per guadagnare quel “tesoretto”: erano gli anni Cinquanta, portava l’acqua fresca agli uomini che lavoravano alla Semprevisa, rimboscando la montagna… Quando tornava, sfinita dal caldo, dalle molestie degli operai e dalla fatica, lo sfregamento delle cosce le procurava rossore e fastidio e la faceva piangere. La fatica e l’umiliazione quotidiana erano il suo pane. Conservava il soldo che guadagnava ogni giorno per dare il velo alla figlia, non ce l’avrebbe mai fatta a sposarla, a guadagnare abbastanza per comprare tutto quello che serviva… almeno sarebbe stata suora!
    Filomena, sua vicina, dalla mattina, preparava un talco “speciale” per lei: raccoglieva la polvere dei tarli, e la frantumava bene aiutandosi con un bicchiere, e questo rimedio dava un po’ di sollievo ad Antonia. La giovane vedova piangeva, le lacrime le r...

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    Last Post by lucia il 8 June 2014
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  4. vento amico
    ... il vento ci porta suoni, odori, antiche sensazioni che ci riportano la pace nel cuore...

    VENTO AMICO
    Sto parlando alla tua pietra, così bianca e lucente
    Che mi acceca. Ma di più mi accecano
    lacrime e singhiozzi: bloccano la gola e il respiro.
    Invece della tua carezza ruvida e calda
    Sento il gelido tocco del masso che ti copre,
    le ginocchia mi si sono fatte di ghiaccio.
    Il cuore duole, è caldo, pulsa forte in petto
    E ancora una volta mi ricorda del tuo.
    Che più non pulsa. Non sente. Non ama.
    Forse non soffre.
    Nonna, son quasi nonna anch’io
    Eppure al petto mio manca sempre il tuo abbraccio,
    la consolazione che mi viene dal tuo amore,
    dal sentirmi accolta e accettata
    pur con le mie nefandezze, le mie mancanze.
    Ti cerco intorno e all’improvviso
    Dal vento amico, sento arrivare la tua voce
    Bella, bambina che mi soffia le canzoni del passato…
    M’asciugo gli occhi, mi alzo e lascio la tua pietra bianca.
    “L’eterno riposo…”, poi ti mando un altro bacio,
    attraverso la carezza che rivolgo al sasso,
    le ginocchia sono dure, non vogliono andare…
    Ciao, nonna, torno presto…
    grazie per avermi ascoltato ancora…
    Lucia Fusco, Venerdì Santo 2014
    Last Post by lucia il 18 April 2014
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  5. amico abbandonato
    ... un amore finisce... la vita si spezza.. solo per animalisti!

    AvatarBy lucia il 12 April 2014
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    HTML
    [QUOTE][color=blue][size=14]Amico abbandonato

    Ti stongo a sentì piagne,
    senza lacreme,
    ma cu tanto doloro.

    Ti uedo triste, accorato, ca nun ti
    j’amore, nu porto sicuro.
    T’ arrecurghi le carezze perdute,
    arripensi alle iurnate serene
    tranquillo, neglio giardino de caseta.
    T’arricurghi i frachi, tucchi quanchi, madreta,
    le zinne profumate,
    i prim’amoro che t’ha fatto freme.

    Poi i patrono teo t’ha lassato agli Gricigli,
    liato, co na liazza agli coglio,
    senz’acqua e senza pano,
    senza manco dice ciao.

    Amico cano, i ti vuglio bbeno.
    Nun pozzo fa’ atro che darte
    Na carezza passanno,
    nu soriso appena,
    e na cica de pano.
    Sento ka mi rispunni grazzie.
    Nun capisci pecchè tanchi cristiagni
    te passano uicino e i loro occhi n’ ti videno,
    si invisibbile.

    Sarao forse cecachi?
    Sarao forse cattiui?
    Sarao indiferenchi?
    Sipolcri nbiancachi?
    Sicuro so’ morchi drento.
    La cattiueria gli ha accisi.

    Te lo leggo aglio penziero:
    vuristi uede’ i patrone teo,
    alle condizzioni tee.
    Amico mio, n’pozzo fa’ atro
    Che movete la coda
    E sperà co tine
    Nella Giustizia di Dio,
    ca è Criatore di tutte
    Le Criature de lo munno
    E nel Suo castigo.

    N’ ghiastimà ca ci penza Isso!

    [size=14][/size][/size][/color][/QUOTE]
    Last Post by lucia il 12 April 2014
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  6. PERCORSI DELLA MEMORIA - Silvia e Agostino
    monte pilorci

    AvatarBy lucia il 22 Mar. 2014
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    Silvia ed Agostino
    Tanti anni fa, all’inizio del secolo scorso, quasi al tempo dei dinosauri, Silvia ed Agostino, i miei bisnonni, abitavano in un antico casale in pietra, su Monte Pilorci, a Suso. Era una famiglia extralarge: fratelli, cognati, nipoti, anziani. Una piccola comunità di pastori: erano originari di Carpineto Romano. Era una vita dura, senza elettricità, ne’ acqua corrente. Non avevano ricchezze materiali e vivevano di poco, barattando il formaggio che producevano, intrecciando cestini, lavandosi in casa, nei mastelli di legno, la sera leggendo favole ai piccoli e cantando canzoni in dialetto. Hanno avuto una vita dura ma lunga, unita. Negli anni cinquanta figli e nipoti, stanchi della vita pastorale, vendettero casale e terre stabilendosi a Roma. Ricordo i miei bisnonni vecchietti vecchietti, quando andavo a trovarli, la domenica, al quartiere Tuscolano, dove si erano stabiliti con la figlia più piccola, Irma. Erano affettuosi con tutti, sorridenti e silenziosi, puri. Si sono spenti vecchissimi, uno dopo l’altra, serenamente. Nonno Agostino, il giorno prima di tornare da Gesù, trovandosi in ospedale, morente, a letto, quasi cieco, ha sentito le mani di mio padre, che gli lavavano il viso e lo rasavano. Pur non riconoscendolo, gli ha preso la mano e gliel’ha baciata. Nonno Agostino e nonna Silvia amavano Roma, lui passeggiava col suo bastone per il Parco San Policarpo, comprava le rosette nel “pane e pasta” di Viale Spartaco, però l’estate tornavano a Suso, dove era rimasta a vivere la figlia Lidia, mia nonna. E fino a quando la salute glielo ha permesso, sono andati in pellegrinaggio alla Santissima Trinità, a Vallepietra, per cinquant’anni, per ringraziare Dio dei sei figli: tutti sani e buoni. La sera pregavano il rosario, tutti insieme. Pregavano la Santissima, San Carlo, San Lidano, Sant’Isidoro. I santi nostri, insomma.
    Io sono nata nel 1963 a Roma nel quartiere Prati, nella clinica Santa Famiglia. Ho vissuto a Roma per circa quarant’anni e mi sento romana, anche se ho sempre mantenuto i contatti con Suso, con i miei genitori ho viaggiato per la Pontina, l’Ardeatina, l’Appia… quasi tutte le settimane, da quando ero piccola. Da ormai dieci anni vivo e lavoro in Lepinia. A Roma sono andata a scuola, mi sono laureata, ho vissuto una vita cittadina, a pochi passi da San Pietro. Di Roma ho sempre amato il centro: la bellezza incomparabile dei muri sporchi dei vicoli, le piazze con le fontane del Bernini, i teatri e le chiese che la sera offrono, a turisti e a residenti, meravigliosi concerti e il conforto di ristorarsi su una panca di legno, dopo una giornata di cammino… e potrei continuare…
    Poi ho voluto dare una spinta verticale alla mia vita e mi sono trasferita. Ma è stato più un lancio col paracadute. Vivere Pontin...

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    Last Post by lucia il 22 Mar. 2014
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  7. PERCORSI DELLA MEMORIA - Miserabili
    Giuseppina - storia di uno stupro di una bambina

    AvatarBy lucia il 22 Mar. 2014
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    CITAZIONE
    HTML
    [SPOILER][/SPOILER]


    MISERABILI
    Da giorni e giorni al telegiornale parlano di “prostitute bambine”, di “madri incapaci di educare” e amenità varie. Come donna, madre e come persona vorrei sentire parlare di pedofili che molestano e violentano delle bambine dodicenni, invece niente... I nostri giornalisti, i politici, il clero, gli intellettuali si adoperano per consolidare una restaurazione del pensiero e dei costumi che per me, “veterofemminista”, è sconcertante; mi fa soffrire, mi fa sentire calpestata, così com’è stata calpestata la vita della piccola Giuseppina, protagonista di questo racconto.
    Mio nonno Paolo mi raccontava che negli anni Venti, a Suso ci fu un efferato delitto, custodito da tutta la popolazione... I tempi non sono molto cambiati. E’ più facile stare dalla parte del potente…
    In quegli anni, nella casa di mio nonno Paolo, in via Murolungo, a Suso, c’era la scuola pluriclasse, condotta dai maestri Nardacci e De Angelis. Un giorno, il maestro De Angelis avvisò gli alunni di vestirsi nel migliore dei modi possibile, (con gli stracci migliori), di lavarsi e pettinarsi, perché il giorno seguente sarebbe venuto in visita il Direttore Tasciotti e avrebbe fatto loro una fotografia! Questa foto è nel salotto di mia mamma: mio nonno frequentava la seconda classe elementare, il suo ultimo anno di scuola. Indossa una giacca con le toppe, le ciocie ai piedi, è serio e orgoglioso; con lui una quarantina di bambini, maschietti e femminucce insieme, nessuno sorride. Sembra un altro mondo, fatto di rattoppi, cenci, lacci… La piccola Giuseppina, figlia unica, indossa un bel foulard bianco. E’ piccola, carina, delicata. Da lì a poco tempo stava per caderle addosso il mondo e non lo sapeva…
    Senza presentimenti, un brutto, terribile giorno, il primo di tantissimi, Giuseppina lo visse che aveva otto anni. Mentre il papà lavorava nell’orto di casa, la bambina pascolava la capra alle pendici del Monte Nero. Il papà, zappando, la controllava con un rapido sguardo, e ogni tanto si salutavano con il braccio alzato. All’improvviso, l’uomo sentì delle urla acutissime e non vide più in lontanza l’esile figura bambina di Giuseppina. Cominciò a correre impazzito e in pochi minuti raggiunse il pascolo.
    Vide in volto un brutto ceffo che fuggiva. Lo riconobbe, ma non lo inseguì: la bambina gi...

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    Last Post by lucia il 22 Mar. 2014
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  8. PERCORSI DELLA MEMORIA - Santa e la famiglia egoista
    storia di Santa

    AvatarBy lucia il 22 Mar. 2014
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    SANTA E LA FAMIGLIA EGOISTA
    Quando eravamo ragazzine mia nonna Lidia dava “i comanno” e mandava a piedi alla “bottega” di Filomena me e mia cugina Paola, a comprare zucchero, sale, farina, quello che le mancava. Da Via Murolungo a Via Roccagorga a piedi, anche più volte al giorno, ogni volta che le serviva qualcosa.
    Noi, tipette dalla gamba svelta, eravamo ben felici di andare, di osservare il mondo intorno a noi e, passando salutavamo tutti i vicini sulla strada; qualcuno ci invitava ad entrare, ci offriva da bere, qualcun altro mandava frutti e saluti a Lidia… passavamo vicino a una casina pulita ed umile, con un fazzoletto di terra davanti, sempre pieno di fiori dentro barattoli arrugginiti di pomodoro. Nel povero giardino c’era quella che, a me ragazzina, sembrava una vecchIa. Al nostro passare saettava un sorriso timido, distoglieva subito gli occhi tristi, rispondeva al saluto senza mai parlare. Spesso si stava pettinando i lunghi capelli neri e li attorcigliava nella crocchia tipica delle nostre donne. Tornata a casa chiedevo a mia nonna chi fosse quella donna misteriosa, e perché non ci guardasse mai, perché fosse sempre così silenziosa e uggiosa. Mia nonna diceva: <<fì, chella è Santa, mò si mammoccia, non poi capì, capirai quanno sarai grossa, mò n’ ci penza’…>>
    Santa era una signora piccola, tondetta… abitava in una casupola a Suso, alla Crocetta. Aveva due figli, il marito era “rattoppino” cioè era ciabattino. I guadagni erano miseri e la fame tanta. Dal mese di maggio a ottobre, però, a casa di Santa la notte si mangiava… perché dalla mattina presto alla sera, ormai buio, Santa era occupata a tutto servizio in una famiglia benestante che andava a passare la villeggiatura in campagna. Non erano cattivi, erano allegri, contenti e sazi, indifferenti alla miseria intorno a loro. La mattina presto Santa lavava a mano i panni di una famiglia di otto persone, preparava la colazione, accudiva alla casa, preparava il pranzo, molto spesso accendendo il forno a legna, per preparare pane, pizza, arrosti, patate, pasta al forno, in abbondanza. Dopo mangiato, mentre i signori riposavano, Santa rigovernava la cucina e preparava un fagotto con i cibi avanzati. Quello era il suo compenso: pranzo e cena per se’ e la sua famiglia. Più tardi lavorava in giardino e nell’orto, stirava i panni del bucato, rigovernava di nuovo le stanze e preparava per la cena.
    Apparecchiata la tavola per la cena, la povera donna avrebbe voluto tornare a casa per riposare, accudire i suoi bambini, la famiglia, e mangiare con loro in un orario “cristiano”, ma la famiglia egoista la tratteneva fino a buio inoltrato con la scusa di ultime faccende domestiche. Così Santa tornava a casa tardissimo, e insieme al marito e ai bambini mangiava ormai “ a notte”.
    Il salario della domestica quindi erano i cibi avanzati, che i signori non avevano consumato. Santa si considerava comunque fortunata perché altri non avevano niente. La vita è stata dura con lei: suo ma...

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    Last Post by lucia il 22 Mar. 2014
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  9. PERCORSI DELLA MEMORIA - Tomassino
    la storia di tommaso mele

    AvatarBy lucia il 22 Mar. 2014
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    TOMASSINO
    Nella primavera del 1947 mia madre doveva compiere cinque anni. Nell’unica foto che ha di quel periodo è piccola, fragile, i vestiti poveri. Ma, per la mia famiglia, una sera di quella primavera fu una delle più belle di tutta la vita, di quelle che non si dimenticano. La mia bisnonna, Filomena Calazi, attendeva ogni giorno un miracolo: suo figlio era partito per la guerra sette anni prima e non aveva più dato notizie di se’. Il cuore dell’anziana madre era straziato e nonostante lavorasse incessantemente per la sopravvivenza propria, dei suoi figli e nipoti, era sempre piena di dolore. Mia mamma ricorda che pregava sempre il Santo Rosario e il suo sguardo si fissava verso la Crocetta, dove c’era la strada principale che unisce ancora oggi Sezze e Roccagorga, sognando il ritorno del figlio Tomassino.
    Un pomeriggio di primavera la figlia di Filomena, Luisetta, giovane sposa, saliva le coste di Sezze sul carretto tirato dai buoi; guidava il marito Eugenio, un “giovane fatto col pennello”. Il carretto era lento perché c’era la breccia e poteva avanzare soltanto lentamente… improvvisamente Luisetta, indicando un uomo che indossava una trasandata, lacera divisa da soldato e camminava un centinaio di passi in salita davanti a loro, disse al marito: <<euge’, quiglio pare tutto Tomassino… porta puro la diuisa… abbada come sgamma…>> ; Eugenio stava per risponderle che quello non era Tomassino, ma soprattutto come faceva lei a riconoscere la camminata di un fratello che era partito sette anni prima, giovanotto, (era del 1918) e che ora era uomo, e che lei era solo una bambina quando era partito?
    Ma non fece in tempo ad aprire bocca perché Luisetta balzò, con la forza dei vent’anni, giù dal carretto, chiamando: <<tomassino, Tomassino me’!!!>>. Il soldato si girò subito e le sorrise, gettando per terra lo zaino che portava in spalla. I due fratelli si abbracciarono e si baciarono, gli strilli fatti di lacrime e gioia di Luisetta arrivarono in Paradiso… Tomassino non ce la faceva a parlare, solo con gli occhi e con gli abbracci rispondeva alla sorella. Lo lasciò sul carretto con Eugenio e si precipitò verso casa, per dare la notizia alla mamma, a tutti!
    Correndo, per tutta la strada dava al vicinato la notizia, col fiato in gola, sempre le stesse poche parole magiche: <<tomassino ha tornato, ha tornato>>. Arrivò a casa in pochi balzi, senza voce e con una piccola folla appresso a lei… <<filume’, ha tornato Tomassino!>>. L’anziana madre non voleva crederci, le mani in petto, ascoltò le parole di Luisetta. Andò a pettinarsi, si lavò la faccia, si mise lo zinale pulito e si sedette, lo sguardo alla Crocetta per catturare la luce che gli riportava il figlio dopo sette anni. Fece portare fuori dalla cucina il tavolo, fece prendere la damigiana di vino rosso che Tommaso stesso aveva lasciato per il suo ritorno, tagliarono tutto il pane e il formaggio, in attesa di Tomassino.
    In realtà il figlio...

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    Last Post by lucia il 22 Mar. 2014
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  10. PERCORSI DELLA MEMORIA - prezioso olocausto
    storia del soldato cesare mele

    AvatarBy lucia il 22 Mar. 2014
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    PREZIOSO OLOCAUSTO
    Qualche anno fa la scuola di Ceriara di Sezze veniva intitolata ad un soldato, eroe della resistenza, il setino Aldo Bottoni. A pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale dette la sua vita e la sua giovinezza per noi, perché potessimo essere liberi.
    Questa, invece, è un’altra storia. E’ la storia di un altro soldato, eroe e “santo” che dette la vita durante la prima guerra mondiale per la sopravvivenza della sua famiglia. La sua famiglia, la mia. Si chiamava Cesare Mele, la stele grigia della tomba avrebbe bisogno di restauro. Si trova nella parte storica, monumentale, intorno tante altre lapidi, spezzate, dimenticate. La foto mostra un bel ragazzo moro in divisa, coi baffetti; l’epitaffio recita:
    Cesare Mele di Antonio
    Granatiere
    Come Prezioso Olocausto
    Per la Vittoria italiana
    Volò in seno agli Angeli
    Alla verde età di anni 22
    I Genitori Inconsolabili ed Esanimi posero.
    Era il 1918 e Cesare, Granatiere di Sardegna, si trovava sul fronte veneto. Da qualche tempo, da casa, riceveva lettere con una calligrafia sconosciuta, e anche le parole non erano quelle in uso a casa sua. Preoccupato, chiese una licenza di qualche giorno al Capitano al quale mostrò le lettere e i dubbi. Dopo giorni di viaggio arrivò in treno, sul “Tuppitto”, che lo lasciò a Velletri. Poi arrivò a casa con le ali ai piedi.
    La casa a Suso, era silenziosa. Trovò gli scuri chiusi e la porta semiaperta: il padre, Antonio, aveva la febbre alta e non lo riconobbe, la mamma, Filomena, in un sussurro, gli raccomandò di stare attento: la Spagnola li aveva colpiti. Che andasse all’Alberito a Ceriara, dove le bestie erano rimaste legate agli alberi di olivo…; anche i fratellini e le sorelline erano malati: il più piccino, Angelo, di pochi mesi, non lo aveva ancora conosciuto, era il più grave. Cesare non si perse d’animo e preparò del vino caldo al quale aggiunse il prezioso chinino di cui, soldato, era provvisto. Raffreddato il liquido lo fece bere ai familiari. Tutti n e assunsero una dose tranne il piccino, perché davvero troppo piccolo per bere quel liquido terribile.
    Poi, a dorso d’asino, partì per la via delle Quartara, tratturo che da Monte Trevi scendeva fino a Ceriara, a pochi passi dalla palude, dove c’era, solitaria, l’osteria di Panici e poche capanne. Raggiunto “l’Alberito” portò sollievo agli animali. Li liberò dalle corde perché pascolassero. Riempì di acqua tutti i “comodi” e poi, prima di tornare a casa, perché era piuttosto stanco del viaggio e delle emozioni che stava vivendo, seminò il favino, in modo che crescesse nuovo cibo per gli animali.
    Ma la spagnola lo aveva preso e, tornato a casa, si mise a letto, ...

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    Last Post by lucia il 22 Mar. 2014
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