STORIA DI SOLEDAD
I due giovani stavano abbracciati. Lui le cingeva la vita, le parlava piano, vicino all’orecchio delicato. Lei gli stringeva le mani, piangeva …Erano quasi bambini.
I piedi di Soledad erano nudi, abbronzati e graffiati dalla vita, le gambe snelle di gioventù. Lui le passava la mano delicatamente sulle ginocchia, accarezzandole con un moto circolare.
Il profumo del mirto, del rosmarino,del lentisco sarebbe rimasto nel ricordo, tutta la loro vita e non li avrebbe più lasciati, ma in quel momento ancora non lo sapevano. Un’upupa incoronata di bruno e nero cantò verso il cielo e li avvisò che era ora di tornare a casa.
Soledad, i lunghi capelli neri e lisci, lo sguardo viola e mansueto, non voleva lasciare Pietro: <<stemo adecco n’atra cica… matrema ha ita a lauorà e n’è ancora raddutta a casa…>>
Pietro, stringendola con forza, con un senso di dolce possesso le rispose: <<iamo, Soledad, s’ha fatto scuro, è ora de radduce. Uengo addumani cetto e stamo ‘nzeme. Matrema e patremo mo’ se prioccupano… Soledad, aricordachi ca i e ti ci tinimo spusa’. I, pi ti, faria di tutto… i ti amo da quanno erauamo du mammocci! Tu sarai felice cu mi…>>
La ragazzina si sciolse dall’abbraccio e gli disse, in modo repentino, procurando a Pietro un dolore che non si sciolse più tutta la vita, come un nodo malfatto reso duro dall’umidità e dal tempo: <<no, Pietrù. Matrema gni’ te’ i bocchi pe fa i matrimonio cu la famiglia tea! I nun mi uoglio fa ‘nghiastima’ da madreta, da patto e sorete!!! Addomani cetto vango a farme monaca, ti uoglio beno, ti uorrò sempre beno, ma i pozzo spusareme schitto a Cristo!>>. <<ma ce l’hu su dittu a madreta ca i te vuoglio beno e te uoglio spusà? A me non m’importa gnente delle lenzola e delle robbe… I e te o nessun’atra!>>
Soledad corse via. Non aveva lenzuola, ne’ federe, ne’ asciugamani, ne’ ricami; niente dote! Sapeva che non poteva sposare Pietro, la famiglia di lui non l’avrebbe mai accettata. Era troppo ricco per lei, orfana di padre. La madre, Antonia, possedeva solo qualche soldo; vedova da dieci anni aveva lavorato duro per guadagnare quel “tesoretto”: erano gli anni Cinquanta, portava l’acqua fresca agli uomini che lavoravano alla Semprevisa, rimboscando la montagna… Quando tornava, sfinita dal caldo, dalle molestie degli operai e dalla fatica, lo sfregamento delle cosce le procurava rossore e fastidio e la faceva piangere. La fatica e l’umiliazione quotidiana erano il suo pane. Conservava il soldo che guadagnava ogni giorno per dare il velo alla figlia, non ce l’avrebbe mai fatta a sposarla, a guadagnare abbastanza per comprare tutto quello che serviva… almeno sarebbe stata suora!
Filomena, sua vicina, dalla mattina, preparava un talco “speciale” per lei: raccoglieva la polvere dei tarli, e la frantumava bene aiutandosi con un bicchiere, e questo rimedio dava un po’ di sollievo ad Antonia. La giovane vedova piangeva, le lacrime le r...
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