delicatamente... lucia


Replying to PERCORSI DELLA MEMORIA - prezioso olocausto

  • Create account

    • Nickname:
  • Enter your Post

    •              
           
       
      FFUpload  Huppy Pick colour  HTML Editor  Help
      .
    •      
       
      Clickable Smilies    Show All
      .
  • Clickable Smilies

    • :huh:^_^:o:;):P:D:lol::B)::rolleyes:-_-<_<:)
      :wub::angry::(:unsure::wacko::blink::ph34r::alienff::cry::sick::shifty::woot:
      <3:XD:*_*:];P:XP:(:=)X):D:>.<>_<
      =_=:|:?3_3:p:;_;^U^*^^*:=/::*::b::f:

  •   

Last 10 Posts [ In reverse order ]

  1. Posted 22/3/2014, 21:31

    PREZIOSO OLOCAUSTO
    Qualche anno fa la scuola di Ceriara di Sezze veniva intitolata ad un soldato, eroe della resistenza, il setino Aldo Bottoni. A pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale dette la sua vita e la sua giovinezza per noi, perché potessimo essere liberi.
    Questa, invece, è un’altra storia. E’ la storia di un altro soldato, eroe e “santo” che dette la vita durante la prima guerra mondiale per la sopravvivenza della sua famiglia. La sua famiglia, la mia. Si chiamava Cesare Mele, la stele grigia della tomba avrebbe bisogno di restauro. Si trova nella parte storica, monumentale, intorno tante altre lapidi, spezzate, dimenticate. La foto mostra un bel ragazzo moro in divisa, coi baffetti; l’epitaffio recita:
    Cesare Mele di Antonio
    Granatiere
    Come Prezioso Olocausto
    Per la Vittoria italiana
    Volò in seno agli Angeli
    Alla verde età di anni 22
    I Genitori Inconsolabili ed Esanimi posero.
    Era il 1918 e Cesare, Granatiere di Sardegna, si trovava sul fronte veneto. Da qualche tempo, da casa, riceveva lettere con una calligrafia sconosciuta, e anche le parole non erano quelle in uso a casa sua. Preoccupato, chiese una licenza di qualche giorno al Capitano al quale mostrò le lettere e i dubbi. Dopo giorni di viaggio arrivò in treno, sul “Tuppitto”, che lo lasciò a Velletri. Poi arrivò a casa con le ali ai piedi.
    La casa a Suso, era silenziosa. Trovò gli scuri chiusi e la porta semiaperta: il padre, Antonio, aveva la febbre alta e non lo riconobbe, la mamma, Filomena, in un sussurro, gli raccomandò di stare attento: la Spagnola li aveva colpiti. Che andasse all’Alberito a Ceriara, dove le bestie erano rimaste legate agli alberi di olivo…; anche i fratellini e le sorelline erano malati: il più piccino, Angelo, di pochi mesi, non lo aveva ancora conosciuto, era il più grave. Cesare non si perse d’animo e preparò del vino caldo al quale aggiunse il prezioso chinino di cui, soldato, era provvisto. Raffreddato il liquido lo fece bere ai familiari. Tutti n e assunsero una dose tranne il piccino, perché davvero troppo piccolo per bere quel liquido terribile.
    Poi, a dorso d’asino, partì per la via delle Quartara, tratturo che da Monte Trevi scendeva fino a Ceriara, a pochi passi dalla palude, dove c’era, solitaria, l’osteria di Panici e poche capanne. Raggiunto “l’Alberito” portò sollievo agli animali. Li liberò dalle corde perché pascolassero. Riempì di acqua tutti i “comodi” e poi, prima di tornare a casa, perché era piuttosto stanco del viaggio e delle emozioni che stava vivendo, seminò il favino, in modo che crescesse nuovo cibo per gli animali.
    Ma la spagnola lo aveva preso e, tornato a casa, si mise a letto, febbricitante. Il papà, la mamma, Filomena “Calazi”, i fratellini e le sorelline intanto stavano meglio e lo aspettavano per festeggiarlo. Filomena subito si recò dai Carabinieri per spiegare che il figlio Cesare si era ammalato di Spagnola, e non avrebbe potuto ripartire, l’indomani; ma il Maresciallo rispose che, vivo o morto, doveva risalire sulla tradotta e tornare al fronte. <<figlio bono me’, ha ditto i maresciallo che stai agli letto e che t’arizzi e ariparti quanno stai beno, ca agli Capitano teo ci fa nu fonogramma e ci spiega isso>>.
    Il soldato ammalato riposava nella stanza che divideva coi fratellini e coi nonni, un tramezzo lo divideva da un’altra stanza: ora c’era una piccola cassa da morto, fatta con le tavole del letto dei genitori: vi era deposto il neonato, Angelo. Cesare, inconsapevole della morte del piccolo, si stupì di non sentirlo piangere e di tutto quel silenzio intorno. Ne chiese il motivo alla madre: <<tu teni la freue, deui ariposà. I mammocci stauo dalla uicina, poi quanno stai beno aritornano adecco cu nune>>. Così Cesare potè lasciare la vita tranquillo: quando sentì la morte vicina chiese alla mamma di andargli a prendere l’acqua fresca del pozzo… e morì, solo. Da soldato. Non aveva il coraggio di morire davanti alla sua mamma. Era appena tornato e se ne doveva andare via. Aveva dato a tutti il chinino e lui invece non ne aveva bevuto…
    Filomena, sporca, fiera e coraggiosa come Anita Garibaldi, seppellì in poche ore il primo e l’ultimogenito, accompagnati al cimitero dal maestro Nardacci e dalla pluriclasse. Infatti nella casa di Filomena c’era la scuola. Tornati a casa quella madre addolorata offrì al maestro e ai bambini tutte le provviste di formaggio e pane fatto in casa in onore dei suoi cari morti. Dopo aver accudito alla casa e ai sette orfani, tutti minorenni: Paolo, Tommaso, Vincenzo, Lidano, Luigi, Luisa, Giuseppina, scese col fedele somarello giù all’alberito, a Ceriara, “a requete le uestie”. Stavano bene, tutto era a posto, gli animali erano sopravvissuti a quei terribili giorni. Il prato era in fiore: il favino aveva appena iniziato a crescere… e tra le piantine nascenti Filomena notò le orme profonde dei passi del figlio soldato. Un fiume di lacrime finalmente scese dagli occhi di quella madre garibalda che, tra i singhiozzi, baciò le impronte una per una, come fossero una reliquia, e a lungo gridò il suo dolore, urlò, baciò e imprecò il Cielo per lo strazio.
    Ho voluto scrivere questa storia per condividerla e perché non vada seppellita nell’oblio. Quando ero piccola i miei genitori e i miei nonni raccontavano le storie di famiglia, a me e ai miei cuginetti, perché crescessimo in consapevolezza e in sapienza. Perché ci ricordassimo sempre della strada che avevamo percorso, prima di giungere ai nostri giorni. Oggi non raccontiamo più storie di sacrifici ai giovani: sono cose vecchie, superate, inutili, non interessano a nessuno. Io invece credo, fortemente, che il nostro passato, il nostro dialetto, la Storia, siano le cose più preziose che possediamo e una volta perduta ogni memoria saremo rovinati per sempre, come recita il poeta siciliano Ignazio Butitta:
    “…Un populu,
    Diventa poviru e servu,
    Quannu ci arrobbanu a lingua
    Additata di patri:
    E’ persu pi sempri.”
    Lucia Fusco.

    Oggi… su quelle orme si fonda la mia casa. Vivo all’Alberito da molti anni…

Review the complete topic (launches new window)