delicatamente... lucia


Replying to PERCORSI DELLA MEMORIA - Tomassino

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  1. Posted 22/3/2014, 21:38
    TOMASSINO
    Nella primavera del 1947 mia madre doveva compiere cinque anni. Nell’unica foto che ha di quel periodo è piccola, fragile, i vestiti poveri. Ma, per la mia famiglia, una sera di quella primavera fu una delle più belle di tutta la vita, di quelle che non si dimenticano. La mia bisnonna, Filomena Calazi, attendeva ogni giorno un miracolo: suo figlio era partito per la guerra sette anni prima e non aveva più dato notizie di se’. Il cuore dell’anziana madre era straziato e nonostante lavorasse incessantemente per la sopravvivenza propria, dei suoi figli e nipoti, era sempre piena di dolore. Mia mamma ricorda che pregava sempre il Santo Rosario e il suo sguardo si fissava verso la Crocetta, dove c’era la strada principale che unisce ancora oggi Sezze e Roccagorga, sognando il ritorno del figlio Tomassino.
    Un pomeriggio di primavera la figlia di Filomena, Luisetta, giovane sposa, saliva le coste di Sezze sul carretto tirato dai buoi; guidava il marito Eugenio, un “giovane fatto col pennello”. Il carretto era lento perché c’era la breccia e poteva avanzare soltanto lentamente… improvvisamente Luisetta, indicando un uomo che indossava una trasandata, lacera divisa da soldato e camminava un centinaio di passi in salita davanti a loro, disse al marito: <<euge’, quiglio pare tutto Tomassino… porta puro la diuisa… abbada come sgamma…>> ; Eugenio stava per risponderle che quello non era Tomassino, ma soprattutto come faceva lei a riconoscere la camminata di un fratello che era partito sette anni prima, giovanotto, (era del 1918) e che ora era uomo, e che lei era solo una bambina quando era partito?
    Ma non fece in tempo ad aprire bocca perché Luisetta balzò, con la forza dei vent’anni, giù dal carretto, chiamando: <<tomassino, Tomassino me’!!!>>. Il soldato si girò subito e le sorrise, gettando per terra lo zaino che portava in spalla. I due fratelli si abbracciarono e si baciarono, gli strilli fatti di lacrime e gioia di Luisetta arrivarono in Paradiso… Tomassino non ce la faceva a parlare, solo con gli occhi e con gli abbracci rispondeva alla sorella. Lo lasciò sul carretto con Eugenio e si precipitò verso casa, per dare la notizia alla mamma, a tutti!
    Correndo, per tutta la strada dava al vicinato la notizia, col fiato in gola, sempre le stesse poche parole magiche: <<tomassino ha tornato, ha tornato>>. Arrivò a casa in pochi balzi, senza voce e con una piccola folla appresso a lei… <<filume’, ha tornato Tomassino!>>. L’anziana madre non voleva crederci, le mani in petto, ascoltò le parole di Luisetta. Andò a pettinarsi, si lavò la faccia, si mise lo zinale pulito e si sedette, lo sguardo alla Crocetta per catturare la luce che gli riportava il figlio dopo sette anni. Fece portare fuori dalla cucina il tavolo, fece prendere la damigiana di vino rosso che Tommaso stesso aveva lasciato per il suo ritorno, tagliarono tutto il pane e il formaggio, in attesa di Tomassino.
    In realtà il figlio era stato a Dubrovnik, in un campo di prigionia degli Jugoslavi, e in seguito raccontò che stavano chiusi in una valle senza sole, senza pane, senza speranza. Durante la guerra la casa di Filomena era diventata sede del comando tedesco, e tutt’intorno alla Crocetta c’era l’accampamento dei soldati. Nel raggio di molti chilometri quella era l’unica casa in pietra, intorno c’erano baracche a fratticcio, scendì e capanne. Era stata sede della scuola elementare dove, ad insegnare, stava il maestro Tasciotti. Filomena, col nemico in casa, per non perderla del tutto, per sopravvivere e difendere se’ stessa e la piccola comunità intorno a lei, organizzava dei gruppi di donne che facevano bollire le divise dei soldati tedeschi in acqua bollente e cenere, per uccidere i pidocchi. I soldati tedeschi razziavano continuamente le case intorno: olio, animali, uova, coperte, tutto quanto potesse essere utile veniva confiscato. Qualche vicino aveva rischiato la fucilazione per aver negato il cibo e Filomena era accorsa, fermando i tedeschi, ricordando loro che quelle donne li tenevano puliti, ricordava loro che i loro uomini e i loro figli grandi erano al fronte, lei stessa ne aveva tre al fronte! Non dovevano toccare nessuno: erano tutti figli suoi.
    In famiglia, ci siamo sempre chiesti e ce lo chiediamo tuttora, come e dove avesse potuto nascondere la damigiana del vino ai tedeschi!!! Diavola di una Filomena!
    Quella sera Tomassino, un tempo alto e bello, ora irriconoscibile per la fame e il freddo patito, con una malattia della pelle che si portò avanti per lungo tempo ancora, accolse l’abbraccio della mamma e di tutta la comunità di e di sezzesi tutti che accorrevano per salutarlo, festeggiarlo e per chiedere notizia di tanti giovani scomparsi… Trovò la sua damigiana di vino, vecchia ormai di sette anni, non ci poteva credere… Tutta la notte bevvero e mangiarono, raccontandosi emozioni e sentimenti, le lacrime lasciarono il posto al riso e alla speranza.
    Tomassino per lunghi mesi non riuscì a lavorare, era stremato, era tornato a casa a piedi, dopo anni di prigionia. Mia mamma ricorda che si lavava fuori di casa, a torso nudo anche quando faceva freddo. Si passava sul corpo acqua bollente e varechina. I bambini lo fissavano spaventati e lui diceva loro di non farlo mai: <<voi siete sani, io devo guarire la mia pelle!!!>>. Lui non parlava dialetto: ci teneva moltissimo a parlare italiano “perfetto”… Una volta guarito cercò una sposa: non era più un ragazzino, anche se era ancora un bell’uomo. La mamma a lungo dovette convincerlo: aveva bisogno di sposarsi, di avere dei figli, una normalità, un futuro. Dopo averci pensato un po’ s’innamorò di una bellissima donna: Nunziata, alta e mora, un tipo fiero, forte, con un sorriso dolce. Si amarono con forza e con passione, così come affrontarono la vita e il lavoro. Ebbero quattro figli, due maschi e due femmine. Ebbero tanta dolcezza ma anche tanto dolore. Ma questa è un’altra storia.

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