delicatamente... lucia


Replying to PERCORSI DELLA MEMORIA

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  1. Posted 8/6/2014, 18:01
    STORIA DI SOLEDAD
    I due giovani stavano abbracciati. Lui le cingeva la vita, le parlava piano, vicino all’orecchio delicato. Lei gli stringeva le mani, piangeva …Erano quasi bambini.
    I piedi di Soledad erano nudi, abbronzati e graffiati dalla vita, le gambe snelle di gioventù. Lui le passava la mano delicatamente sulle ginocchia, accarezzandole con un moto circolare.
    Il profumo del mirto, del rosmarino,del lentisco sarebbe rimasto nel ricordo, tutta la loro vita e non li avrebbe più lasciati, ma in quel momento ancora non lo sapevano. Un’upupa incoronata di bruno e nero cantò verso il cielo e li avvisò che era ora di tornare a casa.
    Soledad, i lunghi capelli neri e lisci, lo sguardo viola e mansueto, non voleva lasciare Pietro: <<stemo adecco n’atra cica… matrema ha ita a lauorà e n’è ancora raddutta a casa…>>
    Pietro, stringendola con forza, con un senso di dolce possesso le rispose: <<iamo, Soledad, s’ha fatto scuro, è ora de radduce. Uengo addumani cetto e stamo ‘nzeme. Matrema e patremo mo’ se prioccupano… Soledad, aricordachi ca i e ti ci tinimo spusa’. I, pi ti, faria di tutto… i ti amo da quanno erauamo du mammocci! Tu sarai felice cu mi…>>
    La ragazzina si sciolse dall’abbraccio e gli disse, in modo repentino, procurando a Pietro un dolore che non si sciolse più tutta la vita, come un nodo malfatto reso duro dall’umidità e dal tempo: <<no, Pietrù. Matrema gni’ te’ i bocchi pe fa i matrimonio cu la famiglia tea! I nun mi uoglio fa ‘nghiastima’ da madreta, da patto e sorete!!! Addomani cetto vango a farme monaca, ti uoglio beno, ti uorrò sempre beno, ma i pozzo spusareme schitto a Cristo!>>. <<ma ce l’hu su dittu a madreta ca i te vuoglio beno e te uoglio spusà? A me non m’importa gnente delle lenzola e delle robbe… I e te o nessun’atra!>>
    Soledad corse via. Non aveva lenzuola, ne’ federe, ne’ asciugamani, ne’ ricami; niente dote! Sapeva che non poteva sposare Pietro, la famiglia di lui non l’avrebbe mai accettata. Era troppo ricco per lei, orfana di padre. La madre, Antonia, possedeva solo qualche soldo; vedova da dieci anni aveva lavorato duro per guadagnare quel “tesoretto”: erano gli anni Cinquanta, portava l’acqua fresca agli uomini che lavoravano alla Semprevisa, rimboscando la montagna… Quando tornava, sfinita dal caldo, dalle molestie degli operai e dalla fatica, lo sfregamento delle cosce le procurava rossore e fastidio e la faceva piangere. La fatica e l’umiliazione quotidiana erano il suo pane. Conservava il soldo che guadagnava ogni giorno per dare il velo alla figlia, non ce l’avrebbe mai fatta a sposarla, a guadagnare abbastanza per comprare tutto quello che serviva… almeno sarebbe stata suora!
    Filomena, sua vicina, dalla mattina, preparava un talco “speciale” per lei: raccoglieva la polvere dei tarli, e la frantumava bene aiutandosi con un bicchiere, e questo rimedio dava un po’ di sollievo ad Antonia. La giovane vedova piangeva, le lacrime le rigavano le guance piene di rughe di sole, di fatica, di sconfitta. <<grazie, za Me’, manco ‘na matre ca non tengo…>>. E s’addormentava sfinita.
    Quindi il destino di Soledad fu questo: lavorò per anni dalle suore, come novizia. Fece i lavori più umili, i servizi più duri, dette prova di buona salute e d’obbedienza. A venticinque anni prese il velo. Pietro intanto aveva mantenuto il suo proposito e non si era voluto “assorare” con nessuna donna, anche se la madre, le sorelle gli avevano presentato diversi “buoni partiti”. Nel cuore del ricco contadino c’era stato posto solo per Soledad, e per sempre sarebbe stato così. Il celibato di quest’uomo santo e giusto, bello nel corpo e nelle maniere gli provocò tante invidie, gelosie e malilingue che era diventato solitario e poco propenso al dialogo. Il lavoro era l’unica ragione della sua vita.
    I due giovani continuavano a vedersi ogni domenica alla messa. Suor Soledad stava seduta nei banchi più vicini all’altare. Quando arrivava Pietro lei era già seduta con le sue consorelle per recitare il rosario, di spalle non vedeva Pietro, ne’ lui poteva guardarla in viso, ma quando la Messa era finita e le suore si alzavano per tornare al convento, Soledad si girava e seguendo la fila indiana delle suore di nero vestite, per brevi attimi, incontrava lo sguardo del suo amore e in silenzio continuavano a scambiarsi parole dolcissime. Negli ultimi tempi era rimasta orfana anche della mamma e si sentiva sempre più sola e povera. Anche i soprusi della madre superiora erano diventati sempre più severi e ingiusti, perché non aveva protezione, ne’ niente più da dare al convento, solo la sua povera vita. Intanto erano passati dieci anni da quel pomeriggio dell’ultimo incontro, quando il paradiso si era chiuso improvvisamente ai due innamorati…
    La vecchia Suor Anna stava malissimo e aveva dovuto essere ricoverata nell’ospedale della cittadina vicina, per un intervento chirurgico. Soledad era stata scelta dalla madre superiora perché desse compagnia e cura alla malata. La giovane suora voleva molto bene all’anziana, che le ricordava la vecchia nonna, le bagnava le labbra, le parlava con dolcezza, pregava il Signore per lei. Quando Pietro non la vide in chiesa per due domeniche di seguito chiese a sua sorella notizie di Soledad e, saputo dove l’avrebbe trovata, ci andò immediatamente.
    <<soledad, stavorta non mi disobbedisce! Levate sto straccio nero ca tieni ‘n capo! Giasù Cristo lo sa beno ca tu si mia, lo sa che ‘n core tu mi teni a mi’. Io non pozzo più uiue cusì, te pozzano spezzà!!! A ti e a madreta, tu mi si llevato cent’anni di uita!>>
    Soledad non se lo fece ripetere due volte: si tolse il velo nero, si sciolse la treccia nera che ormai aveva qualche filo bianco, baciò in fronte Suor Anna e la salutò con l’affetto di una figlia: <<suor A’, i lo so ca la matre supiriora mi dirà tante brutte cose, ma i aglio core ci tengo Petruccio me’ da sempre, da quand’ero mammoccia. Pure i Signore lo sa! Isso mi perdona… i non pozzo e nun uoglio più uiue accusì>>. <<uai, figlia, i Signore ti benedice!>>
    Furono anni bellissimi. La mamma e le sorelle di Pietro non s’impicciarono, cercarono di smorzare ogni pettegolezzo. Soledad era di una bellezza, di una grazia, di una bontà che scioglieva anche i sassi intorno a lei. L’amore dette un frutto meraviglioso: un maschietto bruno, pieno di salute e di vita. Divenne la gioia e l’orgoglio di tutta la famiglia. Il bambino si chiamava Gabriel. Come il padre era attaccatissimo a Soledad, anche lui la seguiva per tutto il casolare, e imparava ogni parola, ogni gesto, ogni intenzione che da lei veniva. In quella casa ogni momento era festa: tutti erano felici e in armonia.
    Quando Gabriel iniziò la scuola elementare Soledad si ammalò gravemente. All’ospedale le dissero che stava bene, ma a Pietro non nascosero che le restavano pochi mesi di vita. Soledad capì tutto. Le bastò uno sguardo, un respiro di lui per intendere la verità. Cominciarono a preparare il bambino, gli dissero che la mamma stava disponendo un viaggio lontanissimo dal quale non sarebbe tornata, ma che si sarebbero riabbracciati sicuramente un giorno, gli dissero che lui restava a far compagnia al papà, alla nonna, alle zie, ai cuginetti, all’amato cagnolino Dantino. L’ultima cosa che gl’insegnò fu a lavarsi le mutandine, i calzini, gli disse che era una cosa che doveva fare da solo, perché ormai non era più un bimbetto e non ci sarebbe stata più la mamma a farlo per lui. Il bimbo imparò.
    Oggi quel bimbo è un uomo anziano, è padre Gabriel. Dà tutta la sua vita per gli altri; dice di avere un grande debito con Dio, che lo ha voluto far nascere, nonostante la stupidità degli uomini. Ha un dolce sorriso sul volto, gli occhi sono quelli viola di Soledad. E’ diventato il padre di suo padre, Pietro, ormai quasi centenario. Ti mostra una foto di Soledad bambina, insieme alla mamma, Antonia. Sono scalze, intorno a loro alberi e una pergola d’uva, gli occhi pieni di sole. Un giorno la riabbraccerà, insieme alla nonna e all’amatissimo Dantino, che l’ha raggiunta ormai da tempo.

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